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La città ideale secondo l’anonimo autore del famoso dipinto nel museo di Urbino (potrebbe essere uno tra Leone Battista Alberti, Piero Della Francesca e Francesco Laurana) sembrerebbe dovesse essere una città bella, ma deserta e silenziosa. Quasi a dire che meno gente vi vivesse meglio sarebbe.

Scienza e 2018 05maggio 12 Ugo Leone1

Sembra questa una visione profetica proiettata a cinquecento anni dopo quando la città, la vita al suo interno, è generalmente e tanto disordinatamente cresciuta da indurre ad ipotizzare la realizzazione di nuove città ma “a misura d’uomo”. Una strana esigenza se si pensa che la città è una costruzione umana per eccellenza e se ha bisogno di essere rifatta per l’uomo che l’ha inventata e costruita vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Specialmente da duecento anni a questa parte; da quando la rivoluzione industriale ha cominciato a richiamare dalla campagna verso città ad hoc costruite la manodopera necessaria per l’industria. E tanto più oggi quando l’inurbamento è stato ed è tale da far invertire la multimillenaria tendenza della popolazione terrestre a vivere prevalentemente in residenze rurali.

Non solo oggi, ma tanto più nel non lontano futuro. Perché la città non è solo lo scenario sul quale si esibiscono circa 4 miliardi di abitanti della Terra, ma è, ancor più, quello nel quale entro la fine di questo secolo saranno in oltre 7,5 miliardi a viverci, muoversi, produrre, inquinare l’atmosfera planetaria.

Come vi si è arrivati? com’è nata la città, com’era e come potrebbe essere ci viene suggerito dalla stimolante e gradevole lettura dell’ultimo lavoro di Cesare de Seta (La città. Da Babilonia alla smart City, Rizzoli 2018).

Un libro che ripercorre il multimillenario itinerario che ha portato la città dalla nascita alla crescita (e alla possibile morte suggerirebbe Mumford con riguardo alle megalopoli che corrono il rischio di trasformarsi in necropoli). Sino a quelle che oggi si definiscono “smart city” «le città intelligenti, in cui le nuove tecnologie avranno un ruolo fondamentale, ma che pongono interrogativi inquietanti sull’uso degli spazi e sulle relazioni sociali». Tanto che Bruce Sterling – lo statunitense autore di fantascienza – sostiene che Le città intelligenti non esistono (Internazionale, 9 marzo 2018).

Ma da Babilonia alla smart city ne passa di tempo. E in questo tempo, osserva De Seta, è andato mutando, anche profondamente, il significato stesso del termine città. Del concetto e del modo di intenderne significato e contenuti. Un modo, ancor più del concetto, che pigramente parla di città e le aggettiva in modo scorretto. Per cui, per esempio, oggi le grandi città si ritengono quelle che l’opinione pubblica, indotta a questo anche da molti mezzi di comunicazione, individua intendendo grande come sinonimo di grosso. Le megalopoli (anche questo un termine usato non sempre a proposito) sono certamente grossi, grandissimi, agglomerati urbani, ma è la quantità di popolazione che dà grandezza ad una città? Certamente no. Perché correttamente una città si definisce metropoli non per quantità di popolazione, ma per qualità e rarità di servizi. Perciò la piccola Ginevra (circa 200.000 abitanti) sì e la più grande Napoli (poco meno di un milione) no.

E, come scrive De Seta, «La città non è solo pietra e marmo, ma forma una comunità». Una constatazione alla quale segue una domanda: «Sarà in grado di affrontare le sfide della società globale?».

La risposta non è facile, mentre è più semplice individuare gli odierni problemi che sono di due tipi: la cattiva qualità della vita all’interno e la pericolosa quantità di emissioni inquinanti dalle città nell’atmosfera.

Tralascio questo secondo aspetto che, essendo causa del problema globale dei mutamenti climatici, si cerca di affrontare e risolvere a livello planetario con l’accordo firmato a Parigi nel dicembre 2015 da 195 Paesi per tentare di contenere l’incremento delle temperature terrestri entro 1,5/2 gradi centigradi.

L’altro aspetto è quello che più caratterizza la gran parte delle città cresciute frettolosamente e, perciò, anche disordinatamente; in fretta senza un piano, un progetto che ne regolamenti le funzioni e la vita.

E la città ideale? Quella di Urbino che è non solo utopistica, ma anche molto irreale, comunque si allontana sempre più dal “disegno” del suo ideatore e, dato il disordinato affollamento di cui dicevo, diventa anche pericolosa per la salute di chi vi abita.

Salute che viene compromessa soprattutto dalla qualità dell’aria. Anche per questo motivo è stato di grande importanza il convegno del 16 maggio 2018 –“Inquinamento atmosferico a Napoli” – organizzato dalla Federico II. Con un sottotitolo ancor più tematico e propositivo: “Obiettivo: smog sotto controllo”. E con l’impegnativo obiettivo di «aprire un dibattito nella nostra città sulla questione ambientale e in particolare organizzare un gruppo di lavoro costituito da docenti della Federico II che, con diverse professionalità, si occupano di ambiente». Già il parterre impegnato nel convegno (Maurizio Bifulco, Vittorio Amato, Fabio Murena, Nicola Spinelli, Marco Guida, Francesco Pirozzi, Luigi Fusco Girard, Giuliana Di Fiore, Guido Trombetti) e i dipartimenti umanistici e “scientifici” ai quali appartengono, lascia ben sperare. Non solo sulla realizzabilità dell’obiettivo, ma sulla qualità dei risultati. E, importantissima aggiunta, sulla possibilità di comunicare in modo capillare e corretto la situazione dell’inquinamento atmosferico e i comportamenti da tenere per prevenirne e limitarne la gravità che è tanto più importante perché influisce sulla qualità della salute. Non a caso ospite di riguardo al Convegno è stato il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Gualtiero Walter Ricciardi.

Allora, viene da chiedersi, “Che aria tira?”. A Napoli, e non solo, tira una brutta aria. Perché Napoli è la terza città d’Italia, dopo Torino e Milano, nella classifica delle città più inquinate. E d’Italia significa anche d’Europa dove le prime tre città sono le stesse che si piazzano in cima alla lista delle città europee più contaminate per le pericolose polveri sottili (Pm10). È questo il risultato che emerge dal rapporto “Che aria tira in città: il confronto con l’Europa”, frutto di un’elaborazione realizzata da Legambiente sulla base dei dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il problema più grave sta non solo nella emissione in atmosfera, ma nella concentrazione (Nicola Spinelli al convegno della Federico II) e nel ristagno nell’aria delle polveri sottili, particelle molto piccole prodotte dalla combustione: nitrati, solfati, metalli ed altre sostanze dannose per l’organismo. Le quali, nel lungo periodo, contribuiscono alla insorgenza di gravi malattie. Tanto che Maurizio Bifulco, ordinario di Patologia generale e promotore del Convegno, non esclude che l’inquinamento possa essere una “concausa” della aspettativa di vita a Napoli inferiore al resto d’Italia.

A Napoli, ha ricordato Fabio Murena, la soglia di tollerabilità in termini di microgrammi per metro cubo che non dovrebbe essere superata è, invece, sforata più volte. Tanto da “costringere” al blocco della circolazione automobilistica nei giorni in cui questo avviene. Quando, cioè, si registrano le cosiddette “crisi di smog”, periodi di molti giorni consecutivi con valori di concentrazione superiori ai valori soglia indicati dalle vigenti normative per ciascun inquinante. Torino è al top con 39 microgrammi per metro cubo, seguita da Milano (37) e Napoli (35).

Allora? Allora “Obiettivo: smog sotto controllo”. Che significa interventi strutturali perché non bastano i blocchi estemporanei della circolazione e generici inviti ad abbassare di qualche grado la climatizzazione degli ambienti. L’obiettivo per essere concretamente realizzato deve prevedere un vero e proprio ripensamento della città e degli stili di vita urbani. Ripensare la città per incidere sull’inquinamento atmosferico significa innanzitutto intervenire sulla mobilità. Senza trascurare investimenti su efficienza e risparmio energetico degli edifici, integrando gli obiettivi di abbattimento dei gas serra e quelli di riduzione dell’inquinamento nelle politiche energetiche nazionali.

Mi sembra di significativa importanza che l’Università – la Federico II nel nostro caso – nella molteplicità dei suoi insegnamenti e del suo fare ricerca abbia deciso con un ampio numero dei suoi Dipartimenti (quelli che si chiamavano Facoltà) di affrontare il problema, analizzarne le cause e prospettarne le soluzioni.

Anche perché i costi di tutto questo sono certamente gravi per la compromissione della salute, ma sono anche costi economici. È una sorta di danno e beffa che i cittadini devono subire dal momento che a causa della violazione delle norme Ue, l’Italia – peraltro proprio lo stesso 16 maggio giorno del Convegno napoletano – è stata deferita dalla Commissione Europea alla Corte di giustizia Ue per l’insufficiente risposta alla soluzione dei problemi dello smog. In particolare per la mancata attuazione della normativa sulla riduzione del particolato (il Pm10, cioè le polveri sottili, causate dal consumo di energia elettrica e dal riscaldamento, dai trasporti, dall’industria e dall’agricoltura). Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente (Eea) con 66.000 morti l’anno l’Italia, è «lo Stato membro più colpito in termini di mortalità connessa» a questo inquinante.

Fortunatamente questo, è, per ora, il primo deferimento, il che vuol dire che in caso di condanna non scattano ancora le multe. Le quali potranno arrivare se l’Italia non ottempererà alla sentenza e vi sarà una seconda procedura della Commissione e una nuova condanna con cifre fino anche a un miliardo di euro.


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