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Mentre noi ci arrabattiamo da un affare all’altro, chi è che tiene d’occhio il pianeta? L’aria si inquina, l’acqua imputridisce, perfino il miele delle api ha il gusto metallico della radioattività e tutto si deteriora sempre più in fretta!
dal film L’Avvocato del Diavolo

 

Domenica 20 maggio si è celebrata la prima giornata mondiale delle api organizzata dalle Nazioni Unite. Questo articolo tratta un aspetto molto delicato del problema. Le api, infatti, oltre a produrre il “nettare degli Dei”, svolgono anche la funzione di “sentinelle” dell’ambiente, permettendoci di conoscerne la qualità, ad esempio mediante il monitoraggio dei metalli pesanti.

 

Cosa sono i metalli pesanti?

I metalli pesanti sono elementi chimici che hanno specifiche caratteristiche chimico/fisiche. Tra i più diffusi vi sono l’alluminio, il ferro, il mercurio e il piombo. All’interno di questa categoria di metalli si distinguono (distinzione ancora dibattuta nella comunità scientifica):

  • gli elementi tossici (dannosi anche a piccole dosi) quali piombo, cadmio, arsenico, antimonio, mercurio, nichel e uranio;
  • gli elementi essenziali (utili se presenti in tracce; tossici se presenti in quantità elevate) quali rame, zinco, cobalto, selenio, e manganese;
  • gli elementi privi di funzioni biologiche note ma ottimi indicatori di contaminazione di varia origine, quali tallio, stagno, cromo e vanadio.

Va tuttavia precisato che la tossicità di una sostanza dipende dal dosaggio con cui viene assunta, dalla via di somministrazione (ad esempio orale o cutanea), dai tempi di esposizione a tale sostanza e dal tipo di danno causato che può variare da organismo a organismo.


Le possibili fonti di contaminazione delle api ad opera dei metalli

I metalli pesanti sono emessi in modo continuo da varie fonti sia naturali (es. eruzioni vulcaniche) che antropiche e, poiché non sono degradati, vengono continuamente tenuti “in gioco”, entrando così nei cicli fisici e biologici degli organismi viventi in seguito alla loro diffusione nel suolo, nell’aria e nell’acqua.

Negli ultimi decenni l’inquinamento della biosfera ad opera dei metalli pesanti ha subito un’accelerazione drammatica a causa delle pratiche agricole; in seguito alla produzione di rifiuti; per le emissioni legate al traffico; a causa dei materiali di scarico industriale e per le attività estrattive.

 

Ma in che modo le api possono venire a contatto con i metalli pesanti?

Innanzitutto attraverso quella che potemmo definire contaminazione esterna ovvero attraverso la loro opera incessante di raccolta di nettare, polline propoli ed acqua mediante la quale vengono continuamente a contatto con le piante che a loro volta potrebbero aver assorbito dal suolo i metalli o potrebbero essere state investite da polveri contenenti metalli.

Va ricordato, a tal proposito, che le api coprono mediamente un’area di bottinamento (il loro volo per raccogliere nettare e polline) che può giungere sino a 7 km2. Le api possono poi essere investite, durante il loro volo, da polveri o sostanze nebulizzate (es. fertilizzanti) contenenti i metalli. Infine, la contaminazione delle api può avvenire semplicemente perché esse vengono a contatto continuamente con il suolo, i manufatti antropici o altri ambienti eventualmente contaminati. Non va tuttavia trascurata quella che invece potremmo definire contaminazione interna all’alveare ovvero una contaminazione che deriva dai processi di allevamento delle api e che è riconducibile, sostanzialmente, alle pratiche apistiche messe in atto dagli apicoltori. In effetti, tutti i materiali che proponiamo alle api (cera, nutrizione supplementare, prodotti antivarroa, polistirolo, vernici per le arnie, affumicazione, ecc.) potrebbero essere a loro volta fonti di contaminazione di metalli. Anche l’uso eccessivo dei mezzi (muletti, soffiatori, camion, ecc.) nei pressi dell’apiario potrebbero essere fonte di contaminazione. Non ultimo va considerato il fatto che anche api che potenzialmente non sono venute a contatto con ambienti contaminati potrebbero essere contaminate perché hanno accesso alle scorte (miele, pane d’api e propoli) dell’alveare, le quali potrebbero essere state raccolte in altri periodi ed in altri ambienti da altre api. Se ammettiamo tale ipotesi, ci rendiamo conto di come sia estremamente difficile confrontarsi con tale problematica. In effetti, uno studio che abbia un minimo di attendibilità scientifica dovrebbe quantomeno partire dal presupposto che se si campionano le bottinatrici si hanno sostanzialmente informazioni sulle contaminazioni esterne mentre se si campionano indistintamente le api all’interno dell’arnia, si avranno informazioni, spesso indistinguibili, sulle fonti contaminanti esterne ed interne.


L’ape e il biomonitoraggio ambientale

Per la valutazione dell’inquinamento ambientale sono stati ampiamente utilizzati metodi indiretti basati sull’uso di organismi viventi come bioindicatori/bioaccumulatori, pertanto si parla di biomonitoraggio ambientale. Gli organismi bioaccumulatori sono in grado di “accumulare” al loro interno sostanze tossiche che assimilano mediante il cibo e l’acqua o in seguito alle proprietà chimico/fisiche dello stesso contaminate. Analisi chimiche su questi organismi possono essere utili per valutare il grado di inquinamento presente nel territorio in cui vivono. Ovviamente le sostanze tossiche accumulate all’interno di questi organismi possono essere trasferite ad altri organismi attraverso le catene alimentari. Si può allora assistere al fenomeno della magnificazione ecologica, ovvero l’aumento di concentrazione di sostanze tossiche negli organismi lungo la rete trofica.
Gli organismi bioindicatori sono molto sensibili all’inquinamento ambientale, pertanto reagiscono rapidamente anche a lievi contaminazioni mediante danni visibili o conseguenze sui processi metabolici. Gli insetti sono ottimi bioindicatori/bioaccumualatori utili per il monitoraggio ambientale; tra questi spicca l’ape mellifera (Apis mellifera ligustica).


Gli effetti dei metalli sulle api

Tra i danni arrecati dai metalli pesanti alle api, citiamo:

  • eccessivi livelli di cadmio: aumentano la mortalità delle pupe e aumentano la mortalità e l’immunodeficienza delle api giovani;
  • eccessivi livelli di rame: aumentano la mortalità delle pupe;
  • eccessivi livelli di selenio: diminuiscono il numero di bottinatrici con un calo immediato della produttività.

Inoltre occorre ricordare che le api, in periodo di raccolta, hanno una vita breve (circa 50-60 gg). Tale periodo è relativamente corto rispetto ai tempi di latenza degli inquinanti nell’alveare (dunque le api muoiono ma l’inquinante resta!). A questo si aggiunge che gli effetti sulle api non sono solo quelli conclamati o letali. Vi sono, infatti, anche gli effetti sub-letali i quali non portano alla morte immediata delle api ma conducono in ogni caso ad una diminuzione dell’aspettativa di vita e dunque ad una minore efficienza produttiva. Infine esistono gli effetti cumulativi e gli effetti sinergici (per esempio la presenza dell’alluminio da sola non porta effetti significativi così come la presenza del solo arsenico. Tuttavia, la presenza contemporanea di entrambi i metalli potrebbe portare ad effetti evidenti sulle api).

Il deterioramento dell’ambiente in cui vivono le api può essere valutato attraverso: 1) la loro elevata mortalità e 2) mediante analisi di laboratorio che consentono di rilevare residui di pesticidi o metalli pesanti presenti nei loro corpi o nei prodotti dell’alveare. 
Tra questi emerge il miele, ma anche la propoli si prefigura come un’ottima matrice per indagare la presenza di tali sostanze in quanto, a causa della ricchezza in fenoli (sostanze particolarmente affini ai metalli), ci si può attendere una maggiore contaminazione da parte dei metalli e dunque maggiori rischi per la salute.

 

Il miele e i metalli pesanti

Diversi studi hanno però dimostrato che le api fungono da barriera biologica protettiva per il miele, “limitando” la presenza all’interno di quest’ultimo di contaminati dannosi. Ad esempio, da uno studio condotto in Polonia è emerso che nonostante i corpi delle api, nei siti di interesse, avessero elevati livelli di cadmio e piombo, il miele prodotto da queste api presentava per tali metalli, concentrazioni ben al di sotto dei livelli consentiti. Questi studi hanno inoltre dimostrato che la contaminazione del miele da parte di metalli pesanti sembra essere “varietà dipendente”. In particolare il miele di melata è già normalmente più ricco di Sali minerali e metalli ma è anche più suscettibile alle contaminazioni ad opera di fonti esterne. 
L’analisi del miele, può quindi fornire utili indicazioni ed il consiglio è quello di non dare per scontata l’assenza di contaminanti. Soprattutto in zone prossime alle possibili fonti inquinanti (grosse arterie stradali, poli industriali, postazioni urbane, ecc.) è utile eseguire almeno una volta all’anno le analisi per tenere sotto controllo la situazione.


Il piombo e il miele

Tra i contaminanti del miele, l'unico che ad oggi ha un limite fissato dalla legge è il piombo (Pb), per il quale esiste una soglia massima di presenza nel miele pari a 0,1 mg/kg così come stabilito dal Reg. UE 2015/1005. Il piombo può essere considerato come un “inquinante ubiquitario” e dunque lo si trova dappertutto e la sua presenza nell’aria è principalmente legata al traffico automobilistico. Va detto, però, che vi sono anche alcune specie nettarifere nel cui nettare tende ad accumularsi piombo in quantità superiori alla norma. Tali specie vengono spesso utilizzate per risanare i siti interessati da inquinamenti da metalli pesanti. Tra queste specie ricordiamo: 

  • le piante appartenenti al genere Artemisia, come l’assenzio maggiore, che prediligono suoli calcarei, privi di nutrimento e fioriscono nei mesi di agosto e settembre;
  • le piante appartenenti al genere Brassica, come ad esempio la senape, il cavolo, la rapa, che vengono spesso coltivate anche se tendono ad essere di solito infestanti. Queste fioriscono nei mesi da marzo a giugno.

Ma quali sono gli effetti sulla salute umana derivanti da una esposizione al piombo superiore alla norma? Alcuni studi hanno dimostrato che alti tassi di piombo possono causare problemi cardiovascolari e di nefrotossicità negli adulti. Altri studi hanno invece dimostrato come una maggiore esposizione al piombo può avere effetti negativi sul sistema nervoso dei bambini.

Da un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani, su 72 campioni di miele provenienti da diverse regioni italiane, è emerso una concentrazione massima di Pb nei mieli pari a 370 μg kg-1. Considerando un peso corporeo medio di 70 kg e un consumo giornaliero di miele di circa 20 g, queste dosi rappresentano il 3,0% dell’assunzione settimanale provvisoria tollerabile (PTWI) per il Pb. Sebbene questi campioni di miele non siano risultati privi di Pb, l’assunzione di metalli pesanti dovuta al consumo di miele sarebbe dunque accettabile in quanto al di sotto del limite di tolleranza e, pertanto, il suo consumo può essere considerato non pericoloso per la salute degli adulti. Invece maggiori sono i rischi per i bambini in quanto questi ultimi consumano più cibo per unità di peso corporeo.

 

Il clima e i metalli pesanti negli alveari

Le condizioni meteorologiche possono influenzare fortemente il contenuto dei metalli pesanti negli alveari. Temperature elevate e climi secchi favoriscono l’aumento negli alveari degli inquinati in quanto viene a mancare il processo di “lisciviazione” dei metalli pesanti dai fiori e di conseguenza questi vengono maggiormente assimilati dalle api. In uno studio condotto in Italia, nella regione Marche negli anni 2008-2010, è emerso come i valori del cromo nel miele e nelle api erano superiori alla soglia stabilita dagli autori nel mese di ottobre ovvero in periodi in cui le piogge si sono manifestate con meno frequenza. Durante tutto il resto dell’anno, quando invece le precipitazioni si sono manifestate con maggiore frequenza, il livello soglia del cromo non veniva superato. Anche il fattore vento è importante in quanto può favorire lo spostamento di inquinanti anche per diverse decine chilometri. Quest’ultimo aspetto va tenuto a mente quando si scelgono gli apiari in quanto le potenziali fonti di contaminazione, anche se non sono presenti nelle immediate vicinanze, possono manifestare i propri effetti negativi sugli alveari anche a distanza considerevoli proprio a causa delle correnti di aria.

Concludendo, emerge sempre più l’importanza di monitorare, per la nostra salute, i livelli di metalli pesanti presenti nell’ambiente che ci circonda e nei prodotti che costituiscono la nostra alimentazione quotidiana. A tal proposito, nel 2015 la Regione Campania insieme all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e con la collaborazione di AP.AS. (Apicoltori Campani Associati) ha promosso un interessante progetto di monitoraggio delle produzioni zootecniche in collaborazione con i produttori stessi, denominato “Campania Trasparente”. Nel corso di tale monitoraggio sono stati raccolti circa 100 campioni di api e miele nelle cinque province della Campania e di questi, solo una percentuale è risultata avere un livello di contaminazione da piombo leggermente superiori alla norma.

* Questo articolo, in una versione corredata anche di un ricco apparato bibliografico, è presente anche su

http://www.apascampania.com/articoli/176/le-contaminazioni-in-apicoltura-ad-opera-dei-metalli-pesanti-parte-1 e

http://www.apascampania.com/articoli/179/le-contaminazioni-in-apicoltura-ad-opera-dei-metalli-pesanti-parte-2

L’autrice del testo, revisionato a cura di Marco D’Imperio, è Dottore di ricerca in Biologia, attualmente Tecnico AP.AS. (Apicoltori Campani Associati).


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