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Martedì 10 aprile si è tenuta all’Accademia della Crusca una tavola rotonda dal titolo La parola “razza” e la sua presenza nelle Costituzioni degli Stati. Si è trattato di un incontro tra esperti di diverse discipline. Hanno partecipato: Ernesto Bettinelli (Università di Pavia), Gianfranco Biondi (Università dell’Aquila), Pietro Greco (Giornalista scientifico), Lino Leonardi (Accademico della Crusca, Università di Siena) Carlo Alberto Redi (Accademico dei Lincei, Università di Pavia), Olga Rickards (Università di Roma Tor Vergata), Maria Luisa Villa (Accademica della Crusca, Università di Milano). Pubblichiamo qui di seguito l’intervento di Pietro Greco.


Vorrei iniziare con un ringraziamento davvero non convenzionale, ma forte e sentito, al presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, e al presidente emerito, Nicoletta Maraschio.

Cercherò di spiegare alla fine perché questi miei ringraziamenti non sono affatto convenzionali, ma molto forti e molto sentiti.

Lasciatemi poi richiamare Bernardo di Chartres e annunciarvi che, per entrare nel merito del problema “Razza e Costituzione” cercherò di salire sulle spalle di giganti. E su quali spalle, se non quelle di Charles Darwin?

Sì perché Charles Darwin a metà Ottocento interviene sulla questione, non in relazione alla Costituzione italiana certo, ma a quella della razza. E lo fa già prima del 1959, anno in cui pubblica L’Origine delle specie e modifica per sempre l’immagine che noi uomini abbiamo di noi stessi e del nostro ruolo nella natura.

Come scrivono Adrian Desmond e James Moore: «La responsabilità ultima di aver spinto Darwin a pronunciarsi sulla questione delle razze umane ricade su un uomo solo: Louis Agassiz, il futuro decano della comunità scientifica americana, professore a Harvard».

Vorrei limitarmi a estrapolare un giudizio e una frase dalla lunga polemica tra Agassiz e Darwin.

Agassiz pensa che le razze umane esistono e che sono frutto del poligenismo: ovvero gli uomini sono nati in maniera indipendente nelle diverse parti del mondo. Le migrazioni non possono spiegare, sostiene, l’enorme diversità umana. Le razze umane esistono. E tra le razze c’è una gerarchia.

Darwin pensa esattamente il contrario. Gli uomini hanno una discendenza comune (anzi, spiegherà in seguito, tutti i viventi hanno un antenato comune). La specie umana è nata una e una sola volta in un unico luogo, probabilmente l’Africa (oggi sappiamo che è così) e poi si è diffusa per il mondo. La diversità interna alla specie Homo sapiens è frutto dell’adattamento nelle diverse parti del mondo che ha raggiunto, con una serie di migrazioni. Non esistono le razze umane.

Darwin non si limita a contrastare le tesi scientifiche di Agassiz. Ma esprime giudizi pesanti sull’atteggiamento del naturalista svizzero emigrato negli Stati Uniti. «È una vergogna!», commenta. È una vergogna perché la posizione di Agassiz è un obiettivo aiuto agli schiavisti del Sud degli Stati Uniti. Ricordo che Charles Darwin è nato nel medesimo giorno di Abraham Lincoln, il 12 febbraio 1809, e col presidente americano condivide una fiera e militante avversione per la schiavitù.

Quanto alla frase che voglio ricordare, è tratta da una lettera scritta all’amico Joseph Dalton Hooker: «Non riesco proprio a capacitarmi perché tu e lui siate così convinti che “combattere tali idee faccia più male che bene”».

Il lui cui si riferisce Darwin è un altro amico, Asia Gray, un naturalista americano che la pensa come Darwin, ma che, come Hooker, è convinto che una battaglia aperta ed esplicita contro Agassiz e le sue idee “faccia più male che bene”.

Ebbene, si parva licet, io ritengo che Darwin avesse ragione sia nel commento sia nella tesi espressa nella lettera a Hooker. Non solo, ritengo che le sue posizioni, pur essendo mutate le condizioni al contorno, siano ancora attuali e debbano guidarci nella discussione odierna.

E in particolare su due tesi, su cui cercherò di argomentare da profano: non essendo io né un biologo, né un giurista, né un linguista.

  1. Le razze umane non esistono.
  2. Fa “più bene che male”, pertanto, sostituire “razza” con un termine scientificamente fondato, per ribadire il rifiuto costituzionale di qualsiasi discriminazione tra gli Homo sapiens.

 

1. Le razze umane non esistono

Lo affermava con argomenti convincenti già Darwin, a conclusione della sua polemica con Agassiz. Ma con nuove e definitive prove, anche genetiche, è oggi l’intera comunità dei biologi e degli antropologi a ribadirlo. Pur non mancando, all’interno di queste comunità, voci dissonanti (penso, per esempio a James Watson, che insieme a Francis Crick ha scoperto la struttura a doppia elica del DNA). Lasciatemi omaggiare, invece, Luigi Luca Cavalli Sforza che, mettendo insieme molte delle competenze presenti in questa sala – di biologia molecolare come di linguistica – ha contribuito a dimostrare, credo in maniera definitiva, che le razze umane non esistono.

Ma lascio a Carlo Alberto Redi, a Olga Richards e a Gianfranco Biondi, che hanno una competenza senza limiti superiore alla mia, entrare nel merito di queste argomentazioni. E spiegare perché Darwin aveva ragione.

 

2. La parola razza va tolta dalla Costituzione?

Mi ritaglio un po’ di tempo per spiegare perché io, semplice cittadino non esperto, ritengo che, a questo punto, si pone il problema se togliere o meno una parola che racchiude in sé un concetto scientifico sbagliato dalla Costituzione italiana.

La richiesta non è (solo) mia. Ricordo che con una mozione resa pubblica il 7 maggio 2017, l’Associazione Antropologica Italiana (AAI) e l’Istituto Italiano di Antropologia (IsItA), hanno chiesto alle massime autorità istituzionali del nostro paese – il Presidente della Repubblica; i presidenti di Senato e Camera; il Presidente del Consiglio – di farsi carico, per quanto di loro competenza, di un problema: l’eliminazione del termine “razza” dalla Costituzione e, di conseguenza, da tutti gli atti ufficiali della Repubblica. Il motivo lo abbiamo detto: il termine “razza”, per quanto riguarda la nostra specie (Homo sapiens), è privo di ogni significato scientifico. Detta in altri termini, non esistono le “razze umane”.

La richiesta di eliminare il termine “razza” dalla Costituzione non risale al maggio scorso. Ricordo che su Scienzainrete, rivista on line con cui collaboro, Olga Rickards e Gianfranco Biondi proposero Un appello per l’abolizione del termine razza già il 14 ottobre 2014. Sono stati loro i primi a sollevare il tema in Italia, sull’onda di un’analoga iniziativa realizzata in Francia.

Quello che c’è di nuovo oggi è che non sono solo più due studiosi, per quanto autorevoli, ma le associazioni in cui si riconoscono tutti gli antropologi italiani, fisici e culturali come direbbero loro. In altri termini: è la richiesta ufficiale di più di una comunità scientifica.

Non mancano, anche tra gli antropologi, le manifestazioni di dissenso rispetto a questa richiesta. Non perché pensino che le razze umane esistono. Ma perché pensano. Come Joseph Dalton Hooker e Asia Gray, “che sia più male che bene” iniziare una battaglia per togliere la parola razza dalla Costituzione.

Beninteso: le argomentazioni proposte sono tutt’altro che banali. Nessuno, sia chiaro, pensa che la specie umana sia divisibili in razze. In sostanza, la potremmo ridurre, le argomentazioni scettiche sulla possibilità di cambiare la parola in Costituzione, a questo dubbio: non è che si solleverà un polverone e la proposta si rileverà un boomerang?

Più in dettaglio, i principali argomenti critici sono questi.

  1. Nell’articolo 3 della Costituzione italiana il termina “razza” è presente per una finalità nobile e inequivoca: bandire ogni discriminazione di tipo razziale. Eliminare il termine “razza” significherebbe trovarne un altro che lo sostituisca, più fondato scientificamente ma altrettanto evocativo, per continuare a bandire in maniera chiara e inequivoca ogni discriminazione in nome della “razza”. Non è semplice.
  2. Intervenire sulla prima parte della Costituzione comporta un pericolo: quello di mettere a rischio le componenti più significative del patto sociale e politico tra gli italiani. Oggi, per fini nobili, eliminiamo il termine “razza”. Ma non è che, in qualche modo, spianiamo la strada a qualcuno che vuole cambiare il patto costituzionale per fini molto meno nobili?
  3. Razza non è la stessa cosa di razzismo. I due termini possono esistere in maniera indipendente l’uno dall’altro. In particolare, si può essere – e spesso si è – razzisti anche riconoscendo che le razze umane non esistono. Dunque l’operazione di eliminazione del termine “razza” dalla Costituzione rischia di essere puramente nominalistica, senza risolvere il problema, crescente, del razzismo.

         A queste tre obiezioni le istituzioni sociali degli antropologi italiani e, comunque, i fautori della loro proposta, cui modestamente mi associo, rispondono in vario modo. Senza chiamare in causa gli amici antropologi, cercherò di proporre alcuni contro-argomenti senza presunzione né di completezza né di corretta interpretazione della comunità scientifica cui ci stiamo riferendo.

A1) L’articolo 3 della Costituzione recita:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese
.

Potrebbe diventare:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di provenienza geografica, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.

In pratica il termine concettualmente sbagliato di “razza” verrebbe sostituito da una locuzione – provenienza geografica – che non solleva alcun problema semantico e, nel medesimo tempo, non mina la forza e la nobiltà di questo articolo costituzionale.

A2) Non è possibile escludere che in futuro – in un futuro più o meno immediato – qualche malintenzionato, in forma più o meno organizzata, si proponga di modificare la lettera e lo spirito della nostra Costituzione. Ma non è che cristallizzandola difendiamo la nostra Carta fondativa. Al contrario, io ritengo senza nulla conoscere, lo ribadisco, di diritto, che la Costituzione sia un patto giuridico, politico e culturale necessariamente – e sottolineo il necessariamente – dinamico.

In altri termini, la Costituzione si adatta – si deve adattare – con grande equilibrio e prudenza, è persino ovvio ribadirlo, ma anche con tempestività ed efficacia ai grandi cambiamenti sociali e culturali.

In primo luogo a quelli proposti, in maniera sempre più incessante, dalle nuove conoscenze scientifiche.

In questo caso un termine, razza, giustamente evocato dai Padri costituenti in un contesto storico – quello dell’immediato dopoguerra – tragicamente vicino all’Olocausto perpetrato nel nome appunto della razza (del concetto biologico di razza) decenni dopo, alla luce di nuove acquisizioni scientifiche, è diventato privo di significato. Non perché non esistano le discriminazioni in nome della razza, ma perché non esistono le razze umane. Di conseguenza la Costituzione darebbe prova di essere una Carta nobile, ma anche viva e dinamica, prendendo atto del nuovo contesto culturale. Continuando a condannare il razzismo (che esiste) senza far ricorso alla razza (che non esiste).

A3) È vero che il razzismo esiste a prescindere dalla razza. Che si può essere razzisti senza dover far ricorso al concetto biologico di razza umana. Dunque, nessuno si illude che togliendo il termine “razza” dalla Costituzione si porrà fine al razzismo. Tuttavia è anche vero che, storicamente, la parola razza viene spesso evocata per mettere in contrasto gruppi umani. Ricordo che di recente, per mettere l’accento sulla vera o presunta (io ritengo del tutto presunta) minaccia derivante dai flussi di migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia, Attilio Fontana, il neoeletto Presidente della più grande e ricca regione italiana, ha evocato il concetto di “razza bianca”. Dimentico, evidentemente, che proprio ottant’anni fa, per difendere la presunta “razza bianca” il regime fascista promulgò le famigerate leggi razziali, inaugurando una stagione di odiosa e tragica discriminazione con cui, evidentemente, non abbiamo fatto i conti fino in fondo.

D’altra parte è importante che la comunità scientifica allargata (io non distinguo le due culture, ne riconosco una e una sola che racchiude in sé le sensibilità e le conoscenze tanto umanistiche quanto matematiche e di scienze naturali) faccia proprio come fece Charles Darwin: prenda una posizione pubblica, netta, chiara.

Perché, lo ricordo anche se in questa sede sarebbe inutile, storicamente i razzisti hanno cercato un appoggio scientifico alle loro farneticazioni. E, molto spesso, non si sono limitati, per così dire, a rilevare e a gerarchizzare le differenze culturali tra diversi gruppi umani, ma hanno cercato questo appoggio nel concetto biologico di razza. Lo ha fatto Hitler in Germania, richiamandosi all’eugenetica e non solo. Lo ha fatto Mussolini in Italia, facendo precedere – ottant’anni fa, appunto – la promulgazione delle leggi razziali da un manifesto, il Manifesto della razza, firmato da alcuni scienziati italiani, anche se non tutti eminenti. Il testo fu pubblicato il 5 agosto 1938 sulla rivista Difesa della razza diretta da Telesio Interlandi.

Ancora oggi i razzisti cercano spesso giustificazioni scientifiche di natura biologica e non solo culturale per le loro ideologie di discriminazione.

Il motivo è molto semplice: le distinzioni culturali sono piuttosto effimere. Gli uomini sono in grado di cambiare la loro identità culturale o di integrarla con altre. Quasi tutti gli Ebrei, nei decenni prima dell’Olocausto, hanno cercato di integrarsi nella società tedesca. Hanno cercato di essere semplicemente cittadini tedeschi. Ma i razzisti non si sono fermati. Hanno sollevato la questione biologica per riaffermare la loro volontà di discriminazione. Hanno usato il termine razza per giustificare il proprio razzismo. Togliere dal campo questa possibilità non sarà risolutivo per battere il razzismo, ma può essere utile.

Vorrei infine riprendere la domanda che Charles Darwin rivolge direttamente a Joseph Dalton Hooker e indirettamente ad Asia Gary: perché pensate che “combattere tali idee faccia più male che bene”? Perché molti tra noi pensano che tentare di sostituire la parola razza mantenendo lo spirito della Costituzione “faccia più male che bene”?

Non solo Attilio Fontana, ma molti giornalisti di una certa area culturale hanno reagito all’evocazione della “razza bianca” sostenendo: perché ve la prendete tanto, la parola razza è presente nella Costituzione?

Di più. Hanno detto, con un argomento vuoto: se la Costituzione fa riferimento alla razza, vuol dire che le razze umane esistono.

Quella parola, dunque, introdotta nella nostra Carta fondativa con ben altro spirito dai padri costituenti è stata utilizzata, appena qualche settimana fa, come alibi per affermare l’esistenza delle razze umane. In termini biologici, visto che si è parlato di “razza bianca”.

Ecco, dunque, che sostituire la parola razza nella Costituzione significa togliere ogni alibi. Significa affermare con forza non solo che le razze umane non esistono, ma che il razzismo non deve esistere.

È molto probabile che, in questo contesto politico, la battaglia per togliere la parola razza dalla Costituzione non sarà vinta. Non subito, almeno.

In ogni caso è bene parlarne. Perché solo riproponendo l’inaccettabilità di ogni forma di discriminazione è possibile battere la più temibile forma di razzismo, quella strisciante.

È importante che questa discussione sia la più vasta possibile. Coinvolga il più gran numero di persone possibili. E in questo i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo e delle responsabilità enormi.

È una questione di democrazia. Io penso che noi viviamo in una fase storica caratterizzata da una domanda emergente di nuovi diritti di cittadinanza: diritti che molti definiscono di “cittadinanza scientifica”. Che significa compartecipazione di tutti alle scelte che coinvolgono, a qualsiasi livello e con qualsiasi grado, la scienza. Proprio perché la scienza è, da alcuni decenni ormai, “il” motore dell’economia – non a caso definita della conoscenza – e quindi della dinamica sociale.

La discussione sulla presenza del termine razza in Costituzione ha aspetti scientifici evidenti. E, dunque, è necessario che il problema sia riconosciuto e discusso da tutti i cittadini italiani. L’importante non è cosa pensiamo sull’opportunità o meno di togliere il termine razza dalla Costituzione. L’importante è che ne discutiamo. E che lavoriamo per estendere la discussione. Perché la scelta – qualsiasi scelta – sia la più democratica e consapevole possibile.

È per questo che desidero ancora una volta ringraziare di cuore un’Accademia prestigiosa qual è l’Accademia della Crusca per aver organizzato questo incontro che va nella giusta direzione. La lotta a ogni forma di discriminazione e l’impegno a soddisfare la domanda emergente di cittadinanza scientifica attiva.

Grazie, presidente Claudio Marazzini.

Grazie, presidente emerito Nicoletta Maraschio.


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