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Il contrasto tra Corea del Nord e Stati Uniti si fa via via più acuto. Il falso allarme di sabato 13 gennaio di un attacco nucleare sulle Hawaii, durato 38 minuti, mostra una volta di più che la situazione è preoccupante. I fatti: poco dopo le ore 8.00 del 13 un impiegato della Hawaii Emergency Management Agency iniziò il suo turno; tra i suoi compiti di quel giorno c’era il test dell’Emergency missile warning system; si trattava di simulare un’allerta di emergenza, senza però inviarlo realmente. Infatti le Hawaii avevano da poco reinstallato il sistema che esisteva ai tempi della guerra fredda, in seguito alla preoccupazione di un attacco da parte della Corea del Nord. L’impiegato aveva a disposizione due opzioni: “Test missile alert” e “Missile alert”; avrebbe dovuto scegliere la prima, invece, alle 8.07, scelse la seconda, così scattò l’allerta, che raggiunse immediatamente residenti e turisti scatenando il panico; i cellulari in tutto il paese ricevettero l’allarme normalmente riservato alla minaccia di eventi gravi: «If you are indoors, stay indoors. If you are outdoors, seek immediate shelter in a building. Remain indoors well away from windows. If you are driving, pull safely to the side of the road and seek shelter in a building or lay on the floor».

Già alle 8.20 la Hawaii Emergency Management Agency aveva diffuso un tweet che spiegava «No missile threat», ma solo alle 8.45 un nuovo messaggio confermò chiaramente il cessato allerta.

Gli esperti assicurano che non vi è stato il rischio reale di una ritorsione massiccia contro la Corea del Nord: alcuni minuti dopo aver ricevuto l’allerta era chiaro che i satelliti spia e i radar con base a terra e in mare (early warning systems) non segnalavano alcun lancio dalla Corea del Nord alloStrategic Command’s Global Operations Center, protetto nel profondo sottoterra nel Nebraska, che ha il compito di controllare in tempo reale quanto accade in tutto il mondo e di informarne Pentagono e Casa Bianca.

Al tempo della guerra fredda era stata istituita la linea rossa, una linea di comunicazione diretta tra i capi delle due superpotenze, per garantire che si evitasse una catastrofe nucleare a causa di errori di informazione; nonostante alcuni incidenti, il sistema aveva funzionato.

Il contrasto Corea del Nord-Stati Uniti non sembra attenuarsi. Già lo scorso agosto Trump aveva scritto che «military solutions are now fully in place, locked and loaded, should North Korea act unwisely». E ora Trump e il dittatore Kim Jong Un, come due ragazzini incoscienti, disputano su chi ha il bottone nucleare più grosso!

Recentemente venti Stati hanno sostenuto che bisogna attuare sanzioni più severe per forzare la Corea del Nord a rinunciare alle sue armi nucleari. Il Segretario di Stato Rex Tillerson ha ammonito Pyongyang che potrebbe innescare una risposta militare se non accettasse di negoziare. Edward Luttwak ha addirittura sostenuto che «It’s time to bomb North Korea».

Credo che molti di noi sarebbero più tranquilli se non si diffondesse la “proliferazione orizzontale” delle armi nucleari, ostacolata appunto dal Trattato di Non Proliferazione (NPT). L’accordo con l’Iran in proposito è un buon esempio. Tuttavia il diritto degli USA di imporre la loro volontà non è convincente. È difficile accettare che la Corea del Nord non può avere la bomba ma l’Israele e tutti gli altri sì. Gli Usa, dopo le pur forti riduzioni alla fine della Guerra Fredda, posseggono tuttora molte bombe nucleari montate su aerei, sottomarini e a terra, protette in profondi silos rinforzati: secondo una valutazione attendibile, gli USA hanno quasi 1.400 testate schierate e pronte all’uso, contro le quasi 1.800 della Russia; inoltre la Russia può contare su altre 4.500 testate attive che si trovano depositate negli arsenali, contro le 4.000 degli americani. La Russia ha da poco iniziato a sostituire i suoi missili Satan, vecchi di appena una ventina d’anni, con i nuovi Sarmat, in grado di rilasciare dieci testate atomiche, ognuna decine di volte più potente della bomba lanciata su Hiroshima; inoltre, tra l’altro, ha sviluppato un missile nucleare sottomarino, guidato da intelligenza artificiale in grado di colpire gli USA.

Quanto agli USA, dieci giorni fa si è saputo della nuova Nuclear Posture Review, preparata dal Pentagono e ora sottoposta all’approvazione della Casa Bianca; essa mostra che l’amministrazione Trump sta abbassando l’asticella che indica il limite che scatenerebbe una risposta nucleare, includendo anche una risposta ad attacchi non nucleari; Il documento propone, tra l’altro, la produzione di bombe nucleari “tattiche”, di bassa potenza (low-yield nukes), più “usabili” delle spaventose bombe termonucleari; esse però renderebbero credibile una guerra nucleare limitata, ampliando così gli scenari nei quali gli USA sceglierebbero l’opzione nucleare: guerra cibernetica, attacchi convenzionali massicci a infrastrutture critiche, attacchi catastrofici sui civili.

Una svolta, quindi, rispetto alle politiche di Bush, Clinton e Obama, orientate a ridurre il ruolo delle armi nucleari. Andrew C. Weber, assistente del ministro della difesa dell’amministrazione Obama, ha detto che la nuova politica «will make nuclear war a lot more likely».

Oltre ai falchi esistono anche le colombe.

58 militari americani – generali e ammiragli ora in pensione – che hanno ricoperto ruoli di alto livello nelle varie amministrazioni, in questi giorni così si stanno rivolgendo a Trump: «Dear Mr. President, we are writing out of grave concern for the course of events on the Korean Peninsula. The current approach taken by the United States is failing to stop North Korea from developing its nuclear and missile technology. The United States must initiate and lead an aggressive, urgent diplomatic effort to freeze North Korean nuclear and missile development and reduce regional tensions… Military options must not be the preferred course of action».

Più in generale, giorni fa Papa Francesco, arrivando in Cile, ha così ha risposto alla domanda di una giornalista sul fatto se abbia davvero paura di una guerra nucleare: «Si, ho davvero paura. Siamo al limite. Basta un incidente per innescare la guerra. Di questo passo la situazione rischia di precipitare. Quindi bisogna distruggere le armi, adoperarci per il disarmo nucleare».

Il 27 gennaio il Science and Security Board del Bulletin of the Atomic Scientists ha portato a 2 minuti da mezzanotte l’ora antecedente al giorno del giudizio.

Mettete dei fiori nei vostri cannoni, cantavano i I Giganti nel 1967.

I responsabili delle due Coree forse hanno ricordato questa canzone e hanno concordato un primo passo verso la distensione: la Corea del Nord, su invito del Sud, ha partecipato con i suoi atleti alle Olimpiadi invernali che si sono appena concluse; un’iniziativa che abbasserà la tensione; inoltre le due Coree hanno deciso di avviare incontri per risolvere i problemi comuni attraverso il dialogo e di riprendere i contatti sui problemi militari, in modo da evitare conflitti accidentali e da risolvere lo stallo nucleare. Il ministro degli esteri della Corea del Sud, Kang Kyung-wha, pur sostenendo che le sanzioni contro il Nord devono essere applicate con rigore, ha aggiunto che si augura che il dialogo prosegua anche dopo le Olimpiadi.


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